Hanno detto di Arpino (Arcangioli Giuseppe)

 

Giuliano Nucci (nella redazione e presentazione del suo catalogo):
 

“Nell’immediato dopoguerra ho conosciuto Arcangioli, detto Arpino. L’ho sempre considerato l’uomo della cravatta per quel suo modo di presentarsi tipico, come si suol dire, dei colletti bianchi. Frequentandolo però notai la sua vivacità, la simpatia spontanea tendente all’ironia non discostatesi da un comportamento un po’ strano di uno che vive, si direbbe, nelle  nuvole. Toscanaccio d’origine, meneghino d’adozione, da sempre ama l’arte con passione al punto che non ha concesso nulla al mercato”. 

(…) Non è referenza da poco essere stato invitato ad esporre nel 1955 al Grand Palais di Parigi e ad altre manifestazioni artistiche prestigiose(…)”.

“Il suo modo di esprimersi, sia nella pittura che nel disegno non persegue una precisa tendenza, non corre dietro ai più svariati “ismi”: li conosce però tutti a livello informativo, senza imitazioni in assoluta indipendenza e ciò lo porta ad esprimersi in un suo originale linguaggio. Si applica seguendo l’estro del momento con lo scopo primario di appagare il suo senso estetico, secondo canoni interiori di armonia e di colore. Dall’olio alla tempera al pastello, con sistemi particolari, ama sbizzarrirsi in disegni in bianco e nero, a colori e con tecniche miste, attraverso una esecuzione il più possibile ordinata e pulita.

Diciamo pulita perché questa è l’impressione che emana principalmente dall’osservare i suoi lavori, nei quali si è portati a considerare la versatilità di questa pittura che si evolve in una ricerca pressoché continua dell’interpretazione, dal paesaggio all’astratto, attraverso un suo modo caricaturale di esprimere, ad esempio, la personalità e l’atteggiamento femminile” (1998).

 

Mario Luzzatto Fegiz (Corriere della Sera, 12.2.1986, “Amarcord degli spartiti perduti”), parlando delle illustrazioni fatte per le copertine delle canzoni di Sanremo e degli spartiti musicali:
 

“E’ lodevole in molte opere lo sforzo del pittore di adeguarsi al testo della canzone: troviamo un disegno con un gigantesco papavero che sovrasta una smarrita e minuscola paperina (per “Papaveri e papere”), un Celentano che sembra Jerry Lewis nell’illustrazione di Arpino per “24 mila baci”. 

 

 

 

 

Dal “Catalogue 1955” - 66° ExpositionSociétè des Artistes Indépendants” de Paris:

dediche di ammirazione e simpatia (ad Arcangioli Giuseppe, cosi ancora si chiamava, e agli Indipendenti italiani) firmate da: Caillaux Rodolphe aux beaux lendemains de l’indépendance et de l’union dans l’Art”!, Albert Maurice, Feuillatte Raymond, Nakache Armand, Jallot Marcel, Garcia Roger (spagnolo), Trèves Andrè, Kerg Thèo (tedesco).

 

“Abbiamo parlato finora di figuratività e di astrazione in Arpino (c’è anche un interessante, e colpevolmente trascurato dalla critica cosiddetta ufficiale, momento espressionista), ma mai tali due moduli sono posti dall'artista in contrapposizione, in conflitto... Non posso tralasciare la sottolineatura delle notevoli capacità di grafico di Arpino che ha iniziato il suo lungo e felice tragitto nel mondo magico delle arti visive facendo il disegnatore già puntuale e finemente ironico nella caratterizzazione dei lineamenti figurali.   I disegni mostrano non tanto le sue simpatie per la cultura visiva mitteleuropea (segnatamente espressionista) ma piuttosto una modulazione delineativa singolare, pulita, svelta, senza pentimenti. La caratteristica poi di queste opere è la "filosofia ideativa", cioè la satira di costume, ricca di bonaria ironia e di arguti quanto amabili sottintesi. Circa infine i paesaggi Magentini di Arpino, direi che è non soltanto il risultato di un rapporto viscerale con un luogo che ama e che quindi lo ha adottato come artista,  per cui le case, i ponti, le barche, il fiume, diventano un vero e proprio strumento pittorico-mentale attraverso cui l'artista getta sulla tela tutti i suoi impulsi, le sue commozioni, insomma quel sentimento anche romantico-lirico che traspare nei colori immediati e intensi”. (Mario Portalupi)

 

Pino Lucano, direttore della Rivista di Cultura ed arte “Alla Bottega” nel 1972, visitando lo studio di Arpino scrisse: “Ritengo che per un uomo, un artista, non sia importante diventare qualcuno, cioè avere successo e fama, ma diventare qualcosa, qualcosa di importante nella società perché comunica agli altri, un pensiero, idee, un modo di essere, delle opere utili e significative per tutti. Nel caso di un pittore questo qualcosa sono i suoi stessi quadri: e nel caso di Arpino, di cui ho potuto conoscere il linguaggio e le idee artistiche attraverso i suoi quadri, constato che è già diventato qualcosa per la passione con cui li dipinge e li racconta, per la comunicazione………”